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PSICHIATRIA DEMOCRATICA |
Il 27 ottobre 2003 Rocco Canosa, presidente nazionale di Psichiatria Democratica,
ha visitato con l’on. Alba Sasso il Centro di Permanenza Temporanea di Restinco
(Brindisi). Questa iniziativa, sollecitata dai compagni del gruppo no-CPT
del Tavolo Migranti, segna una tappa fondamentale nel rapporto tra Psichiatria
Democratica e i Forum sociali. Tuttavia, crediamo che nessuno di noi aspiri
a costruire delle alleanze “tecniche”, senza discutere, senza confrontarsi.
Non per affermare un’identità, ma per guardare le cose da punti di vista diversi,
per avere una chance di diventare “altri” da cio’ che siamo. E’ una questione
di arricchimento reciproco, che richiede uno spazio politico non gerarchizzato,
rapporti orizzontali dove non ci sono né punti di vista superiori né lotte
politiche più importanti delle altre. Partendo dalla questione dei CPT, Psichiatria
Democratica intende costruire un rapporto “critico” con i movimenti, un’alleanza
fondata sulla disponibilità a farsi attraversare dall’altro, facendosi
spiazzare, provocare, contestare dalle sue domande, senza per questo
rinunciare alle proprie; sulla capacità di costruire ogni volta piani di riflessione
e di lotta più ampi, nei quali storie e culture diverse possano articolarsi
senza dissolversi l’una nell’altra; sulla consapevolezza che questa costruzione
non si fonda né su una verità trascendente o immanente, né su una necessità
storica, ed è percio’ ricca e fragile come un evento.
Gli strumenti critici che Psichiatria Democratica puo’ offrire a questo
dibattito sono essenzialmente tre:
1. Soggettività.
Il movimento antiistituzionale,
guidato da Franco Basaglia, ha posto la questione dei diritti dei malati di
mente ed affermato la necessità di abolire i manicomi. E’ stato uno di quei
movimenti “specifici” o “locali” che nel corso degli anni ’60 e ’70 hanno messo
al centro del discorso e della lotta politica la soggettività delle persone.
Soggettività significa che c’è qualcosa di “irriducibile” che contesta alla
radice le razionalizzazioni scientifiche (per es. la spiegazione
dell’omosessualità in termini di malattia o di anomalia), senza per questo
ricadere nelle razionalizzazioni politiche (per es. la convinzione che basti
offrire alle persone diritti e salute
per risolvere il problema della loro soggettività). Psichiatria Democratica
nasce da un movimento di contestazione della “norma”, dove per norma s’intende
la naturalizzazione arbitraria di un modello sociale che poi legittima la
negazione giuridica dei diritti per coloro che a tale modello non corrispondono.
Questi movimenti di contestazione hanno attraversato gli anni ’60-’70, andando
a formare il tessuto connettivo su cui l’antagonismo politico ha potuto
attecchire e svilupparsi. La contestazione della norma è un’insurrezione della
soggettività contro la gerarchia del discorso scentifico, che la squalifica
come irrazionale e la riduce al silenzio; ma è anche un campanello d’allarme
contro la tentazione di ritenere che una rivoluzione politico-economica
potrebbe risolvere il problema della soggettività e dei suoi irriducibili
“eccessi”. In altri termini, i movimenti di contestazione della norma cercano
di evitare la deriva dell’avanguardismo teorico, che rischia di gerarchizzare
lo spazio politico, di semplificare le lotte e di renderle percio’ meno incisive.
2. Etica. Il movimento di Psichiatria Democratica ha una valenza etica non solo
perché pone al centro l’irriducibilità di cio’ che è soggettivo, ma anche
perché rifiuta l’idea che il potere sia qualcosa che sta fuori e contro di noi,
e che quindi, per essere liberi, sia sufficiente liberarsi dalla repressione e
dal dominio. Se c’è una lezione che si puo’ trarre dall’esperienza di Basaglia,
è che quando arrivo’ a Gorizia per dirigere il manicomio rifiuto’ subito la
delega di controllo sociale nascosta sotto la pretesa terapeuticità
dell’intervento medico. In questo modo, la sua identità di psichiatra entro’ in
crisi: crisi del sapere psichiatrico che legittima e copre la violenza
istituzionale, crisi del ruolo istituzionale che nasconde la propria natura politica
- il controllo della devianza improduttiva - sotto una veste di neutralità
scientifica e tecnica. La nostra pratica quotidiana si gioca costantemente
all’interno di questa contraddizione: offrire delle risposte concrete alle
persone senza occultare la funzione normalizzatrice implicita nel nostro ruolo
tecnico, e rendere quindi il rapporto terapeutico aperto allo scambio, al
confronto, alla negoziazione, al conflitto. Il potere passa sempre attraverso
di noi, percio’ non si puo’ pensare di agire politicamente senza far entrare in
crisi il ruolo specifico che noi rivestiamo nel contesto sociale, culturale,
lavorativo.
3. Politica: l’azione politica di Psichiatria
Democratica si sviluppa su due piani apparentemente contraddittori. Per noi
politica significa in primo luogo vivere le contraddizioni istituzionali per
costruire insieme ai pazienti, alle famiglie, alla comunità, dei reali percorsi
riformistici, come quelli che in Italia hanno condotto alla riforma
psichiatrica del 1978 (legge 180), dei percorsi di emancipazione e di
autodeterminazione, di lotta contro lo stigma e l’esclusione, di riconoscimento
e tutela dei diritti delle persone; in secondo luogo, pero’, significa
continuare a criticare tutti i progetti di riformismo politico volti a
neutralizzare i conflitti sociali attraverso il pretesto della modernizzazione.
Basaglia amava citare questa formula di Antonio Gramsci: “ottimismo della
volontà e pessimismo della ragione”. Riprendendo questa formula, noi potremmo
dire: riformisti nelle pratiche e antiriformisti nella teoria politica.
Dopo la nostra visita al CPT di Restinco, possiamo affermare che i CPT sono
dei “nuovi manicomi per immigrati”? La risposta dev’essere necessariamente
articolata. Perché, come dimostra il tentativo di abrogazione della legge 180,
proposto dal centrodestra con un progetto firmato dall’on. Burani Procaccini,
il legislatore neoliberale non sembra essere interessato soltanto a un ritorno
alla logica dell’esclusione, né soltanto alla privatizzazione dei servizi
pubblici e alla distruzione delle tutele sociali, ma anche allo sviluppo di un
dispositivo biopolitico di prevenzione dei rischi patologici che minacciano la
salute pubblica e la sicurezza del corpo sociale. Il neoliberalismo è anche
biopolitica: cultura del pericolo, controllo della popolazione, normalizzazione
diffusae capillare degli individui. La
proposta di legge Burani Procaccini rientra in un programma controriformista
sistematico e ad ampio spettro, nel quale vengono investiti campi come la
salute mentale, la prostituzione, la tossicodipendenza, i minori. Tutte queste
leggi e proposte di legge, apparentemente marginali, sono invece decisive per
comprendere la complessità della governamentalità neoliberale, e per costruire
dei percorsi di lotta che sappiano confrontarsi con tale complessità.
PSICHIATRIA DEMOCRATICA
Parigi, 12 novembre 2003