PSICHIATRIA DEMOCRATICA

 

Che cos’è la psichiatria - nell’epoca della globalizzazione, del neoliberalismo e della biopolitica

Che cos’è la psichiatria - nell’epoca della globalizzazione, del neoliberalismo e della biopolitica ?     

 

            La psichiatria italiana è diventata “critica” nel momento in cui, invece di continuare a interrogarsi su che cos’è la malattia mentale – volontà fenomenologica di comprendere fino in fondo l’esperienza psicotica – ha cominciato a interrogarsi su che cos’è la psichiatria – analisi degli effetti di potere del sapere psichiatrico, critica dell’uso politico della verità scientifica (la malattia mentale). La specificità della psichiatria italiana, a partire dall’esperienza di Franco Basaglia, consiste nell’impossibilità di separare queste due domande: non ci si può domandare che cos’è la malattia mentale senza domandarsi anche che cos’è la psichiatria. Questa capacità critica di rivolgere il sapere contro se stesso è ciò che caratterizza ancora il movimento di Psichiatria Democratica. Tuttavia, la critica della psichiatria non nasce nel chiuso di un laboratorio o di un soggetto, ma è sempre inscritta in un determinato contesto storico. La domanda critica, l’atteggiamento critico è sempre lo stesso; cambia invece la cornice all’interno della quale la domanda viene posta; cambia di conseguenza anche la domanda, nel senso che si arricchisce di nuovi elementi e diventa perciò più complessa. Oggi la domanda che dobbiamo porre e a cui dobbiamo cercare di rispondere è la seguente: che cos’è la psichiatria nell’epoca della globalizzazione e del neoliberalismo?

            È evidente che per Psichiatria Democratica la legge 180/78 di riforma psichiatrica è un punto di riferimento imprescindibile: è la base del lavoro realizzato in Italia in questi venticinque anni, è la realtà di una psichiatria che ha posto al centro i bisogni e diritti delle persone, è la pietra di paragone a partire da cui giudicare i cambiamenti che di volta in volta investono la psichiatria, la sanità, la società intera. La 180 è una sorta di tribunale, tuttavia il tribunale è autenticamente critico solo quando colui che giudica e colui che è giudicato sono la stessa persona. Franco Basaglia, subito dopo il successo parlamentare della legge 180, fece questa operazione rischiosa e impopolare: lasciò che la 180 giudicasse la 180. Apparve così, e apparirebbe ancora oggi a chi avesse voglia di rileggere gli atti processuali (le poche pagine della sua Conversazione sulla legge 180), che la riforma psichiatrica italiana è un campo di battaglia in cui si affrontano il vecchio e il nuovo. Il vecchio è il manicomio, la distruzione della personalità giuridica del malato di mente, il giudizio di pericolosità che per anni ne ha fatto un malato “speciale”, da rinchiudere e controllare piuttosto che da curare. Il nuovo è invece più problematico, ambiguo: infatti, la medicalizzazione della psichiatria sancita dalla 180 (che in Italia introduce – in ritardo, ma con inediti elementi di radicalità – la modernizzazione realizzata precedentemente in Inghilterra, in Francia e negli Stati Uniti) non rappresenta soltanto la vittoria contro il vecchio (contro la logica dell’esclusione e il dispositivo disciplinare della psichiatria tradizionale), ma anche l’avvento di una nuova psichiatria biopolitica, centrata sul problema della salute pubblica e con funzioni di prevenzione e di igiene rispetto ai rischi patologici che minacciano il corpo sociale. La psichiatria non è soltanto manicomio; anzi, con la crisi del manicomio diventa chiaro che essa ha giocato e continua a giocare un ruolo decisivo nel dispositivo biopolitico di difesa della sociale, di controllo e di miglioramento della vita di una popolazione. Questo Basaglia lo aveva capito già a partire dalla metà degli anni sessanta, quindi con un certo anticipo rispetto a Michel Foucault.

            Il verdetto, che Basaglia fa pronunciare alla 180 sulla 180, è scomodo: la vittoria contro il vecchio è un cavallo di Troia nel quale sono racchiusi nuovi e più insidiosi nemici. La psichiatria si territorializza, si socializza, si medicalizza, ma così facendo diventa un vettore fondamentale della diffusione della cultura del pericolo; la sua funzione di controllo e di normalizzazione, lungi dall’esaurirsi, si generalizza, diventa un potere diffuso, capillare, quotidiano di prevenzione dei rischi patologici della società. Perciò non possiamo fare ameno di servirci di questo giudizio critico sulla riforma psichiatrica italiana per giudicare l’attuale tentativo di controriforma proposto in Italia dal centro destra e firmato dall’on. Burani Procaccini (nel corso degli anni ottanta sono stati presentati 14 progetti di revisione della 180). La reazione di contrasto a questo disegno di legge è stata immediata, ampia e trasversale, da parte delle associazioni dei familiari e degli utenti, delle società scientifiche (anche di quelle tradizionalmente più ostili alla 180), dei movimenti, di molti partiti politici, delle organizzazioni sindacali; ciò ha reso difficile il suo percorso, e siamo ormai giunti alla terza versione (marzo 2003), apparentemente più “elegante”, nella sostanza uguale alle precedenti. Parliamo dunque di una controriforma che forse non avrà luogo. Tuttavia, questa non è una ragione sufficiente per non interrogarsi su di essa: da un lato perché il D.D.L. Burani Procaccini non è un tentativo isolato, visto che l’attuale maggioranza di governo sta portando avanti un programma controriformista sistematico e ad ampio spettro (statuto dei lavoratori, servizio sanitario nazionale, prostituzione, tossicodipendenza, minori, a cui bisogna aggiungere la legge Bossi-Fini sull’immigrazione); dall’altro perché la psichiatria potrebbe essere già cambiata, come Basaglia paventava, anche sulla scia della modernizzazione introdotta dalla riforma 180.

            In conclusione, analizzare questo disegno controriformista con lo “strabismo” con cui Basaglia guardava alla riforma 180 può evitare di essere irretiti in un’oscillazione che rischia di rendere evanescenti i contorni della domanda che ci poniamo – che cos’è la psichiatria nell’età della globalizzazione, del neoliberalismo, della biopolitica neoliberale – e quindi di non cogliere il bersaglio. Il rischio è di assecondare un giudizio, rispetto al nuovo scenario in cui la psichiatria si colloca, che oscilla tra il considerare questi cambiamenti come una pura restaurazione (il ritorno del manicomio, dell’esclusione e della disciplina), o come una pura rivoluzione (l’avvento della globalizzazione neoliberista come attacco ai diritti e come distruzione della sfera sociale). Nel primo caso si dà una spiegazione di ordine più strettamente politico (il nuovo è vecchio, cioè conservatore), nel secondo più strettamente economico (il nuovo è totalmente nuovo, cioè ultraliberista); in entrambi i casi, tuttavia, queste spiegazioni risultano troppo riduttive e unilaterali, sfugge per esempio la complessità della dimensione biopolitica della psichiatria – che non è né un fatto vecchio né un fatto totalmente nuovo; che è sia un fatto politico sia un fatto economico, e che perciò non può essere spiegato né in termini semplicemente politici né in termini semplicemente economici. Ma il vero problema è che queste spiegazioni potrebbero fornire due alibi tra loro speculari e persino complementari: si demonizza il ritorno del vecchio, dimenticando che il problema psichiatrico da tempo si è spostato fuori del manicomio, che anche la psichiatria medicalizzata che tutti i giorni pratichiamo pone problema; oppure si demonizza l’avvento del nuovo, dimenticando, questa volta, che il manicomio resta comunque un problema, che l’esclusione e la violenza istituzionali continuano a essere un problema della psichiatria.

            Una breve analisi del D.D.L. Burani Procaccini potrà forse darci un’idea della complessa stratificazione (non necessariamente coerente, anzi per molti versi contraddittoria, paradossale) del sistema psichiatrico nell’epoca del governo neoliberale:

            Esclusione e disciplina

            In questo D.D.L. vi è senz’altro un tentativo di restaurazione della logica di esclusione e disciplinare messa in crisi dalla legge 180. Il filo conduttore che accomuna le tre versioni del D.D.L. è di garantire misure di “alta protezione”, attraverso l’introduzione di una nuova regolamentazione dell’obbligo della cura e del ricovero coatto (ASO, TSOU, TSO) – che comunque, come vedremo, ha anche una valenza biopolitica, cioè di prevenzione del rischio patologico –, e la creazione di strutture ad assistenza prolungata e continuata sulla base della presunzione di “pericolosità” del malato mentale. Il giudizio di pericolosità, sebbene non esplicitamente formulato nell’ultimo testo, ne sottende il senso e ne determina le disposizioni. Questo D.D.L. segna il ritorno di una legislazione “speciale” per la psichiatria: non solo perché vengono abrogati gli articoli della 833/78 che recepivano la 180, integrando l’assistenza psichiatrica nel Servizio sanitario nazionale; ma anche perché viene di fatto approntato un circuito separato per i pazienti, sia dal punto di vista dei luoghi di cura e di vita, sia dal punto di vista dello stato giuridico. In sostanza, viene creata una normativa speciale per il trattamento sanitario obbligatorio (TSO), inserito in una legge speciale per la psichiatria, mentre la 833 sanciva l’uniformità di trattamento per ogni patologia (mentale o no): “gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione alle cure da parte di chi vi è obbligato”; “l’Unità Sanitaria Locale opera per ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed rapporti organici tra servizi e comunità” (avremo modo di considerare come, nel D.D.L. Burani Procaccini, il concetto di prevenzione si allarghi e si radicalizzi rispetto alla legge 180). Confluendo in una legislazione separata, il ricovero obbligatorio non è più tutelato dalla normativa del Servizio sanitario nazionale: la sua durata si protrae fino a due mesi ed è rinnovabile, il luogo dove effettuarlo non è più l’Ospedale Generale, ma “può essere effettuato in strutture ospedaliere ed extraospedaliere accreditate dalle regioni e dalle province autonome, comprese le Strutture Residenziali Assistenziali (SRA)”; in queste strutture, anche a gestione privata (ecco la novità neoliberale) e ad “alta protezione”, saranno ricoverati anche “i malati destinati all’ospedale psichiatrico giudiziario”. Scompare, infine, nell’ultima versione del D.D.L., il numero dei posti letto previsti nelle strutture protette (RSA): infatti, nell’art. 4 si parla della dotazione di “adeguati spazi verdi e di ricreazione”, ma non del numero di posti letto, mentre nel precedente testo unificato c’era stata la riduzione da 50 (prima versione) a 20 posti letto. Svista del legislatore, o premeditata volontà di consentire la realizzazione di veri e propri manicomi, senza limite di posti  letto e, presumibilmente, a gestione privatistica?

            Biopolitica

            È un aspetto cruciale del D.D.L. Burani Procaccini, in quanto registra la sovrapposizione e l’articolazione tra l’idea della pericolosità del malato mentale, il soggetto d’eccezione che sta fuori della norma, e quella del rischio patologico, che riguarda invece un soggetto statistico, cioè l’uomo normale, l’uomo medio, l’uomo massa: tutti, almeno virtualmente, siamo portatori di rischio patologico, la qual cosa rende necessaria una prevenzione capillare e generalizzata, al fine di promuovere la salute pubblica e la sicurezza sociale. Art. 14: “Per l’individuazione precoce delle situazioni di rischio psicopatologico e dei disturbi psichici, il Ministro della Salute, con proprio decreto stabilisce le modalità di realizzazione di specifici programmi atti alla diffusione di appropriate soddisfacenti interventi presso le scuole, a cominciare da quelle materne. I programmi devono prevedere procedure di screening e preparazione degli insegnanti”. Non c’è stato bisogno di aspettare l’approvazione di questo D.D.L.: il Ministero della Salute ha già approvato e finanziato programmi di ricerca epidemiologica nelle scuole. Nella presentazione di uno di questi programmi, che con la complicità dei genitori e degli insegnati effettua uno screening su un campione di 3000 ragazzi (tra i 10 e i 14) basato su interviste diagnostiche strutturate e analisi del DNA estratto dalle cellule di sfaldamento della mucosa orale (sciacquo orale), si può leggere quanto segue: “La cronaca nera conferma, purtroppo, come i disturbi mentali rappresentino una priorità dal punto di vista della sanità pubblica […] Uno studio approfondito sui disturbi mentali è pertanto di estrema importanza e non è più procrastinabile: occorre essere in grado di stabilire risposte appropriate sia in termini di un’efficace programmazione dei servizi, sia in termini di progettazione di adeguati interventi a carattere preventivo e curativo”. Sappiamo tutti che questa è solo la punta dell’iceberg biopolitico nel quale la psichiatria è immersa e gioca un ruolo tutt’altro che secondario. Comprendere la centralità di questa dimensione significa interpellare politicamente, non soltanto i ministeri dell’economia o del lavoro, ma anche quelli della salute.

            Neoliberalismo e nuova esclusione

            Nel D.D.L. Burani Procaccini c’è anche qualcosa di totalmente nuovo, che si aggiunge al vecchio (la logica manicomiale) e al mezzo vecchio o mezzo nuovo (la biopolitica), e che bisogna senz’altro ricondurre al neoliberalismo e alla globalizzazione, senza però assolutizzare questo nuovo e cadere nel rischio opposto, quello di una spiegazione economicistica dei mali del mondo e della psichiatria in particolare. C’è tutta una serie di fattori che stanno a monte e che fanno da sfondo a questo D.D.L.: la crisi del Welfare, la rottura aziendalistica dell’integrazione tra il socio-assistenziale e il sanitario, la privatizzazione dei servizi pubblici, il postfordismo, la precarizzazione del lavoro e la formazione-controllo permanente di un esercito di nuovi tecnici, tecnici della norma e giudici di normalità. Esplicita, per esempio, nel D.D.L. Burani Procaccini, la privatizzazione del Dipartimento di Salute mentale (DSM): “I servizi del DSM possono essere sia a gestione pubblica che privata”, mentre nelle due precedenti versioni veniva garantita la gestione pubblica del Centro di salute mentale (CSM). Anche in questo caso è legittimo domandarsi se si tratti di una svista, o della sfacciata intenzione di fare il primo esperimento di una totale privatizzazione dell’assistenza sanitaria. Tuttavia, l’effetto delle politiche neoliberali sull’assistenza psichiatrica non si limita a questo, né ha aspettato che venissero approntati dei progetti di legge. La grande novità del neoliberalismo consiste probabilmente in questo: da un lato, nel fatto che siamo passati dalle grandi istituzioni pubbliche dell’esclusione alla rete delle istituzioni private della cura e dell’integrazione (in Italia il 60 % dei letti per acuti e postacuti e l’80 % di quelli per cronici sono gestiti dai privati: cliniche convenzionate e strutture protette gestite dal privato – più o meno – sociale); dall’altro, nel fatto che questa rete assistenziale a gestione privata, senza o con fini di lucro, produce nuove e drammatiche forme di esclusione, che sono per così dire il valore aggiunto del neoliberalismo (prima si entrava nel circuito psichiatrico con una diagnosi di schizofrenia, adesso se ne esce con una diagnosi di “non riabilitabilità”, cioè con un’agghiacciante non-diagnosi: coloro che non sembrano più offrire alcuna redditività sul mercato medico-assistenziale vanno a finire in strutture protette, sempre più simili a delle discariche sociali). Ma il neoliberalismo non si caratterizza appunto per la volontà di sbarazzarsi definitivamente di tutte le scorie welfaristiche (assistenza, riabilitazione, integrazione ecc.) che “contaminavano” il liberalismo prima maniera? Tolleranza zero: che si tratti di giustizia o di psichiatria, tutti gli scarti devono, semplicemente, sparire. Con buona pace dei puristi neoliberali, anche la gestione dell’immondizia può essere un business, più o meno legale o mafioso.

 

Pierangelo Di Vittorio – Mariella Genchi

Parigi, 12 novembre 2003                                       PSICHIATRIA DEMOCRATICA