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PSICHIATRIA
DEMOCRATICA |
Il Manifesto
14
Novembre 2003
L'INTERVISTA
«E ora puntiamo a
deistituzionalizzare cpt e carceri»
Parla Emilio Lupo,
segretario di Psichiatria democratica: «La 180 deve ramificarsi sul territorio»
SARA MENAFRA
Quarantasettenne, napoletano.
Emilio Lupo è il segretario di Psichiatria democratica dal 1996, oltre ad
essere docente di Psichiatria Sociale presso la Scuola di Specializzazione di
Psichiatria dell'Università "Federico II" di Napoli e responsabile
delle Strutture Intermedie di un Distretto Socio-Sanitario della
A.S.L. Napoli/1.
Sono passati trent'anni da quando è nata psichiatria
democratica. Quali obiettivi vi ponete in questo
momento?
L'obiettivo del congresso di Psichiatria democratica è
soprattutto quello di mantenere il percorso della dissoluzione della
psichiatria, intesa come una realtà avulsa dal contesto, come una struttura che
non aiuta le persone a capire i propri diritti. Il nostro percorso è iniziato
con il «no» all'Istituzione negata, come l'aveva chiamata Franco Basaglia, ma
adesso questo «no» che allora si riferiva solo ai manicomi, deve aprirsi,
estendersi alle altre strutture totali presenti sul nostro territorio.
Quali sono attualmente le
istituzioni al centro della vostra critica ?
Negli ultimi anni abbiamo messo al centro della nostra
analisi i centri di permanenza temporanea per gli immigrati clandestini e le
carceri. Rocco Canosa di Pd è andato insieme ad Alba
Sasso nel centro di detenzione per migranti nella provincia di Brindisi.
Contemporaneamente a Napoli abbiamo lavorato alla costruzione di un
osservatorio sulle carceri. Alcune delle istituzioni totali presenti in Italia,
come gli ospedali psichiatrici giudiziari e i carceri minorili, possono essere messi in discussione con forza già oggi.
Detta così sembra una critica rivolta solo a quello che
psichiatrico non è. Non crede che anche sui servizi di igiene
mentale la discussione debba ripartire?
Dobbiamo riprendere una critica forte allo stile di lavoro
dei servizi, valorizzando le reti naturali e quelle formali. Da un lato le
singole unità operative devono essere rielaborate a partire dalle proprie
risorse. Dall'altro i centri diurni devono diventare luoghi di
impresa sociale diversa.
Secondo lei come devono cambiare gli interventi nel
territorio?
C'è bisogno di reti più presenti e capaci di intervenire in
situazioni di emergenza sociale che non toccano solo la psichiatria. Penso ad
esempio ai senza fissa dimora. A Napoli stiamo lavorando a centri di intervento e sostengo rivolti in particolare a loro, che
siano ovviamente strutture aperte e non di contenimento.
E' davvero convinto che dopo trent'anni la legge Basaglia
non debba essere modificata?
Quella legge ha rappresentato un intervento positivo sulla
psichiatria e non è modificabile. La novità che si può portare nella legge 180 sta nel «fare». Noi pensiamo a
una psichiatria territoriale, che pratichi la liberazione attraverso servizi
territoriali aperti che siano capaci di lavorare con enti locali e
associazioni. E' questa, la declinazione nel territorio della 180, l'unica
strada percorribile. L'alternativa è un ritorno al
passato che noi continuiamo a rifiutare.
In parlamento è stata depositata da tempo una legge che
propone una modifica della 180 che di fatto riaprirebbe i manicomi. Alcuni
psichiatri di area «progressista», pur criticando
quella presentata dicono che la legge va riformata. Voi cosa ne pensate?
All'interno dell'associazione la posizione è pressoché
unanimemente contro ogni tentativo di riforma della legge, anche perché siamo
convinti che la 180 sia un ottimo testo e che le modifiche finirebbero solo per
peggiorarlo.
In molti luoghi in Italia la 180 non è mai stata
applicata. Come mai a 25 anni dall'approvazione di questa legge ancora non si
può dire che gli interventi di contenimento siano stati aboliti?
Sappiamo di vivere una contraddizione, ma la battaglia
contro la riduzione delle libertà non è un percorso facile né lineare. Certo,
se le regioni e i comuni vengono privati dei soldi per
la sanità è ovvio che ogni modifica o avanzamento dell'esistente diventa
impensabile. Franco Basaglia diceva: «Abbiamo chiuso i manicomi, ma non è detto
che rimarranno sempre chiusi. L'importante è che abbiamo dimostrato che si può
fare».
Se dovessi definire tu la legge 180?
Credo che la 180 sia soprattutto una grande
occasione per costruire insieme agli altri dei percorsi di inclusione.
Ma i processi di evoluzione si fanno solo se la gente
sporca le mani e coinvolge gli altri. Il suo grande
valore è stato quello di essere una legge che partiva dal basso, un testo che
traduceva esperienze già messe in pratica sul territorio.