PSICHIATRIA DEMOCRATICA

 

Psichiatria Democratica: la guerra dei 30 anni di Emilio Lupo - Rocco Canosa

L''autunno sembra essere una stagione particolarmente feconda per Psichiatria Democratica. L’autunno bolognese di trent’anni fa, dà il benvenuto all’Associazione. Il congresso autunnale di Vico - Equense del novembre 2000 ne segnala la svolta : «Psichiatria Democratica ritiene, inoltre la ineludibilità del percorso di dissoluzione della psichiatria verso pratiche per la salute mentale…». Oggi, autunno 2003, lo straordinario sforzo autunnale di Matera sembra sigillarne la piena consapevolezza e maturità. Psichiatria Democratica affonda le sue radici in quei «no» contenuti ne L’Istituzione Negata, il testo a cura di Franco Basaglia del 1968: «Noi neghiamo dialetticamente il nostro mandato sociale che ci richiederebbe di considerare il malato come un non-uomo e, negandolo, neghiamo il malato come un non-uomo. Noi neghiamo la disumanizzazione del malato come risultato ultimo della malattia, imputandone il livello di distruzione alle violenze dell’asilo, dell’istituto, delle sue mortificazioni e imp osizioni; che ci rimandano poi alla violenza, alla prevaricazione, alle mortificazioni su cui si fonda il nostro sistema sociale. Neghiamo tutto ciò che può dare una connotazione definitiva al nostro operato. Nel momento in cui neghiamo il nostro mandato sociale, noi neghiamo il malato come irrecuperabile…». Dalla negazione della irrecuperabilità del malato, nasce negli anni 70 in Italia prima la speranza e poi la certezza di fare definitivamente a meno del manicomio. La legge «180» è il frutto della deistituzionalizzazione che non è solo la lotta contro il manicomio, ma anche l’impegno durissimo per costruire nuovi servizi territoriali efficaci, residenze decorose, luoghi di aggregazione per le persone in difficoltà. Nel decennio successivo la pregnanza delle esperienze più avanzate in Italia (presenti sia al Sud, sia al Centro, sia al Nord, oltre lo stantio luogo comune Centro-Nord avanzato, Sud Arretrato) si può esprimere con lo slogan «dalla riparazione del danno all produzione di salute». Come conseguenza dell’attenzione al malato e non alla malattia, i servizi più impegnati puntano sulla valorizzazione delle capacità della persona, costruendo percorsi di normalità, offrendo opportunità di emancipazione crescente. Si afferma, così, con forza l’idea che la riabilitazione non può essere una sommatoria di tecniche, le più svariate, ma la pratica dell’affermazione, dell’accessibilità e della fruizione dei diritti. «La cittadinanza è terapeutica» è, in questo senso, uno slogan molto efficace. Del 1994, dopo una serie di proposte di revisione della «180», che non sono state accolte grazie all’impegno di Psichiatria Democratica e delle forze progressiste del Paese, viene finalmente approvato il primo Progetto Obiettivo «Tutela Salute Mentale», che istituisce il Dipartimento di Salute Mentale, definendone strutture, funzioni ed attività. Negli anni successivi, accanto alla lotta per le risorse dei servizi si rafforza la convinzione che i servizi non possono produrre salute mentale da soli, sia perché non hanno risorse sufficienti (e non le avrebbero mai), sia perché il benessere psicologico non è qualcosa che riguarda solo i tecnici «psy» ma anche e soprattutto è il risultato delle capacità di un’intera comunità di tollerare, sostenere, far emancipare le persone in difficoltà. Per questo i servizi più impegnati incominciano a sviluppare una salute mentale di comunità, attraverso la costruzione di sostegni sociali, formali ed informali. In questo percorso si accorgono d’avere bisogno di amministratori intelligenti, di volontari capaci, di cittadini sensibili, di artisti, artigiani, insegnanti, giornalisti, di amici, di tutte quelle persone che possano tessere, insieme agli operatori, i fili di una rete solidale robusta. Consapevoli di questo processo irreversibile di smontaggio della psichiatria, intesa come somma degli apparati antichi e nuovi, ci siamo calati nella realtà delle persone che soffrono con tutti noi stessi, senza risparmiarci, sporcandoci le mani. Per segnalare e costruire, insieme a tanti altri soggetti attivi, piccole fortezze di democrazia partecipativa, di progettualità, di operosità, di fatica, di sogni e speranze, facendo proprie e rilanciando le spinte propulsive che da ogni dove si vanno proponendo, nelle forme più diversificate; severi e rigorosi nel quotidiano sforzo di provare a cogliere quanto sale dalla viscere dei nostri quartieri periferici in disfacimento, ma pieni di vita, dai paesini isolati, ma capaci di solidarietà, dai centri storici degradati, ma attraversati da forti legami tra le persone: disposti ad ascoltare e a leggere quanto accade intorno a noi. Fino in fondo dentro le contraddizioni. In questi giorni - qualcuno anche amaro - abbiamo però scoperto con grande gioia, attraverso la pubblicazione Negli occhi e nel cuore quello che - di certo oltre i nostri meriti - Psichiatria Democratica rappresenta per una parte del Paese: «... l’aver combattuto per i diritti, la giustizia, l’inclusione fa di questa associazione un avamposto forte per la difesa della dignità delle persone (V. Scudiere), «Molte sono state in questi trent’anni, le iniziative e le battaglie da voi condotte, per il superamento delle esclusioni sociali» (G. Epifani), «…ci ha fatto crescere, ha contribuito alla ricchezza culturale della nostra storia, ci ha fatto riflettere, ha aperto nuove prospettive e più solide speranze» (S. Cofferati). «Ho seguito , fin dall’inizio, il tenace impegno di Psichiatria Democratica e la strenua lotta sostenuta per debellare le arcaiche angosce collettive nei confronti dei mali psichici» (Roberto de Simone) «Abbiamo fatto un lungo e difficile tragitto e i risultati positivi sono sotto gli occhi di tutti» (A. Bassolino). «Trent’anni sono un traguardo importante. Testimonia la vitalità di Psichiatria Democratica e la sua fedeltà all’intuizione originale di dar vita ad un movimento culturale e ad una pratica medica capaci di accompagnare un rinnovamento profondo della psichiatria italiana» (R. Bindi); «La particolarità della vostra Associazione è sempre stata quella di promuovere il pieno diritto di cittadinanza e il riconoscimento di dignità umana ai sofferenti psichici… Psichiatria Democratica in tutti questi anni si è battuta sempre con coraggio e lealtà in difesa di una tra le categorie più deboli e maltrattate» (P. Fassino); «P.D. è una creatura di F. Basaglia, uomo e scienziato tra i più insigni e coraggiosi… a lui e al suo movimento dobbiamo la liberazione di tanti uomini e donne» (Rita Levi Montalcini). Franco Basaglia a proposito della deistituzionalizzazione diceva: «…la cosa importante è che abbiamo dimostrato che l’impossibile diventa possibile». Abbiamo potuto constatare, nel corso di tutti questi anni, come tale affermazione - che è densa di fatti e di atti quotidiani - sia riuscita ad assumere una dimensione specifica e, nel contempo, ad influenzare significativamente altri ambiti del sapere e del fare. Si è dimostrato, cioè, come si potesse fare a meno degli Ospedali Psichiatrici sviluppando pratiche territoriali di Salute Mentale ma anche - e, non ci pare poco - come altre aree, cosiddette di confine, potessero sconfinare e prendere a piene mani da queste esperienze. Il risultato va ben oltre la dimensione per così dire «psichiatrica», tant''è che, soprattutto negli ultimi anni, si contano a decine le iniziative costruite con numerosi settori del nostro Paese non specificatamente psichiatrici dalle realtà sindacali alle scuole, dall’artigianato allo sport, dall’imprenditoria, all’università ed agli enti locali. Per non parlare delle importanti e significative reti attivate con gli studenti, gli immigrati, le famiglie, il volontariato e - attraverso progetti locali con le stesse associazioni culturali e del terzo settore. Ecco perché non ci interessa battere altre strade se non quella che, a partire dall’ascolto e dalla comprensione del disagio e del bisogno della singola persona, giunga a praticare costantemente integrazione e scambio con tutti i mondi possibili. Nulla però è scontato e la partita è sempre aperta. «Non credo che il fatto che un’azione riesca a generalizzarsi voglia dire che si è vinto. Il punto importante è un altro, è che ora si sa cosa si può fare». (Franco Basaglia)

 

Emilio Lupo è segretario nazionale di Psichiatria Democratica Rocco Canosa è presidente nazionale di Psichiatria Democratica