Elettroshock: la legge lo prevede e allora perché questa smania di "rilanciarlo"? Mala tempora

Liberazione 21 febbraio 2008

Il nuovo clima politico è palpabile. Osservando le produzioni mass-mediatiche di questi giorni più che una deriva, si assiste a un vero e proprio “sbracamento” a destra, verso il nuovo establishment che sta per salire sul trono del potere, come la gran parte dei sondaggi suggerisce. Ne sia una prova il dibattito sempre più acceso sulla legge 194. Anche gli psichiatri non vogliono farsi mancare niente e alcuni di loro, i “più grandi” tra gli italiani della SOPSI ufficializzeranno prossimamente durante il convegno nazionale a Roma un appello a favore di un maggiore uso dell’elettroshock. Saremmo nel ridicolo se non ci fosse del tragico. Infatti visto che l’Esk è ancora una terapia, non vietata anche se sottoposta, e giustamente, a dei vincoli vista la sua pericolosità, perché una petizione a suo favore ? Perché farla diventare un bandiera? Che la facciano e se ne prendano le responsabilità secondo scienza e coscienza!!! Sarebbe come dire che bisogna fare una petizione per un maggior uso dell’Aspirina (sic!). Basaglia – come ricorda anche Alessandra Arachi sul Corsera del 15 febbraio 2008 – era totalmente contrario: “E’ come tirare un pugno ad una televisione per cercare di metterla in sintonia”. Lo era Basaglia e lo siamo anche noi. In oltre trent’anni di esperienza sia dentro che fuori del manicomio non abbiamo mai sentito la necessità di prescrivere né di presenziare alla somministrazione di elettroshock. In nessun caso.

Eravamo e siamo tuttora convinti che in psichiatria il non-legare e il non “elettrizzare” la gente sia un “a priori”, ossia che gli atti stessi della contenzione e dell’elettroshock neghino implicitamente ogni dimensione terapeutica. Sicchè legare è un po’ come sottomettere, far dipendere l’altro da noi, negargli ogni possibilità di “parola”, stabilire una relazione di stalking, di dominio, colonizzazione dalla quale imporre ogni potere: da quello “terapeutico”, si fa per dire, a quello “più semplicemente” umano. Ed “elettroshockare” è, come ricorda lo scrittore Ferdinando Camon, un po’ come bastonare una persona che la pensa diversamente da noi, comunque da sottomettere.

Per qualcuno, in alcuni casi la contenzione è un atto “necessario”. Ma necessario a chi, a che cosa? E’ evidente che se in alcune esperienze la contenzione è stata abolita non vi sono motivi per credere che essa debba essere ancora prevista tra gli strumenti del mestiere psichiatrico. Al contrario, la sua pratica rimanda, come sempre, alle modalità di organizzazione delle risposte di un Servizio che, seppure posto all’interno di un ospedale generale, va inteso comunque come Servizio territoriale. Una organizzazione rigida, pre-formata fa fatica a modularsi con lo scorrere multiforme dell’esistenza di ognuno di noi e rimanda, inavvertitamente, alle vecchie pratiche manicomiali.

La scena del legare e dello shockare è di per sé il luogo della separazione, dell’allontanamento, della rinuncia e dell’oppressione in cui si consumano paure, complicità, orrorismi (orrori e terrorismo) di vario genere. Quei pazienti che noi vediamo nei nostri Servizi e che talvolta ci raccontano di contenzioni e di elettroshock subiti, specialmente in alcune cliniche private, ci parlano di pratiche di disumanizzazione, di strategie omicide che ricordano le aberrazioni di Auschwitz e Abu Grahib. Ci invitano a cambiare opinione e prospettiva. Come Basaglia. E’ importante, quindi, assumere il punto di vista del paziente, staremmo per dire della vittima e ascoltare i suoi silenzi e le sue contestazioni. Ci pare inevitabile il ricorso all’etica. O, meglio, ad un’etica intransigente e collettiva che veda nella messa in discussione continua di queste “soluzioni” il punto di svolta verso il riconoscimento e l’applicazione dei diritti di coloro che richiedono le nostre cure e si rivolgono ai nostri Servizi. In attesa, dunque, che si possa scrivere la “vera” storia della contenzione e dell’elettroshock, da quella manicomiale a quella apparentemente più soft di alcuni reparti geriatrici e psichiatrici attuali, vorremmo cogliere l’occasione per ricordare che soltanto due settimane fa, in tempi non sospetti, durante il convegno nazionale di Psichiatria Democratica a Vico Equense abbiamo lanciato l’idea di una moratoria sull’uso della contenzione, dell’elettroshock nei vecchi, nei matti e nei confronti di chicchessia. Fummo premonitori? Oppure non è mai il caso di abbassare la guardia? In Europa ci invidiano la legge 180, legge di democrazia e di civiltà e i nostri pazienti non ci hanno mai chiesto di essere legati o di volere un elettroshock. L’applicazione trentennale della legge 180, che ci apprestiamo a celebrare, ci suggerisce che di ben altro hanno bisogno le persone che si rivolgono ai nostri Servizi: un rapporto di fiducia, esserci costantemente nel tempo, co-gestire le difficoltà, riconoscere i bisogni primari e l’influenza che essi hanno nel decorso della “cura”. E tutto questo, come è evidente, nulla ha a che vedere con costrizioni-contenzioni ed elettroshock-oppressioni.

Avanti, dunque, con la moratoria che abbiamo proposto a Vico Equense. Teniamo la schiena dritta e la barra fissata sul protagonismo degli utenti che, in fondo, è stato il fattore più importante nel superamento dei manicomi in Italia ed è tuttora l’unico valido nell’orientare le nuove pratiche e i nuovi saperi nel campo della salute mentale. E ricordiamoci che il secondo governo Berlusconi stava a due passi dal modificare la 180 e se saremo all’opposizione bisognerà fare muro perché la legge non venga spazzata dallo “tsunami”, su cui da tempo e giustamente le femministe ci allertano, di un modello di società fondata sulla famiglia eterosessuale, sul dominio dell’uomo (leggi psichiatra più o meno elettroshockaro), sull’esclusione di tutte le diversità (il matto è quasi in pole position). E chissà che il corpo chockato (“Era una barbarie, una sevizia, una tortura” dice Alda Merini delle sue scosse o Silvia Plath delle sue “…qualcosa mi atterrò e mi scossi…credevo che le mie osse si sarebbero spezzate e la linfa ne sarebbe fluita fuori. Mi chiedevo quale orribile colpa avessi mai commesso…” ) non sia, fermo restando tutte le differenze del caso, una metafora di quella biopolitica, più volte citata da Angela Azzaro sul giornale, la politica sui corpi, corpi contenitori, corpi da degradare, corpi da abusare per cui questa vicenda dell’elettroshock “di quartiere”, “vicino alla gente”, “pret a porter” non si tratti di semplice uso o non uso di una tecnica, comunque violenta ma di ben altro, che rinvia a scenari più inquietanti ?

Luigi Attenasio e Angelo Di Gennaro Presidente e Direttivo Psichiatria Democratica Lazio